Finiture Green

Il design si tinge di fluo

MarcoRipa_FLUO2023

Lo constatiamo guardando le vetrine più alla moda e scovando designer che ne hanno realizzato un’intera Collezione. È il caso di Marco Ripa, designer e fabbro marchigiano, che durante l’ultima Milano Design Week ha presentato l’installazione FLUO 2023.

Affiancato nella direzione creativa da Roberto Cicchinè e supportato da un team di preziosi collaboratori, il maker ha presentato le serie Chiodo, Supermodulare e Fun House, accendendo con effetti magico-decorativi i colori fluorescenti dell’edizione limitata.
Abbiamo voluto saperne di più, soprattutto del suo modo di approcciare il colore ma anche conoscere la tecnica con la quale affronta i progetti, data anche la sua esperienza di maker.

Partiamo dall’approccio al colore. Come è stata la genesi della scelta di una collezione basata su colori fluo?
Fino al 2022 tutte le nostre collezioni sono state presentate esclusivamente in bianco e in nero. Poi, insieme al direttore artistico Roberto Cicchinè, abbiamo iniziato a sperimentare il colore, selezionando 8 tinte su cui concentrarci: 4 tonalità pastello e 4 toni intensi. Osservando i primi prototipi, abbiamo colto le potenzialità dell’uso del colore in oggetti tanto essenziali come i nostri; il passaggio al fluo è stato veloce, come un guizzo arrivato d’istinto.

Come designer e maker riesci a unire processo creativo e tecnica. Quale valore aggiunto dà al tuo lavoro questa tua doppia anima?
Professionalmente nasco come artigiano e per me progettare significa plasmare la materia. Ho un approccio molto fisico all’oggetto e al processo produttivo. Conosco benissimo le caratteristiche dei metalli, che riesco a portare al limite della flessione e della resistenza, per generare quell’aspetto di leggerezza e dinamicità che contraddistingue le nostre creazioni.

Qual è il tuo approccio alla finitura? Entriamo nello specifico anche di come tratti le superfici a livello tecnico.
Per me e i collaboratori che mi affiancano in officina la finitura è un’ossessione e la trattiamo in modo piuttosto originale. Nonostante il nostro processo produttivo sia interamente manuale, l’obiettivo per noi è quello di nascondere ogni traccia di lavorazione. Ripuliamo con meticolosità ogni saldatura e la limiamo poi manualmente per creare degli spigoli vivi. È come se lavorassimo per nascondere il fatto che i nostri processi siano artigianali. E quando riusciamo a farlo ne siamo orgogliosi. Ad alcuni piace mettere in luce il proprio operato, noi preferiamo mimetizzarci con l’opera. È quello che io intendo come artigianato minimale.

I prossimi progetti? Con quale azienda ti piacerebbe lavorare?
Dopo la partecipazione all’ultimo Fuori Salone di Milano, stiamo progettando una serie di sedute che presenteremo alla prossima edizione di Edit Napoli: una bella sfida.
Avrei piacere di lavorare con qualche grande brand del design, per conoscere un mondo in parte diverso dal mio, in cui trasferire un po’ di spirito artigianale, insieme alla naturale predisposizione a semplificare progetti anche complicati. Come? Con ingegno e facendo di necessità virtù. Nella grande industria tanti componenti vengono realizzati ad hoc, mentre nel mondo artigianale siamo noi a ‘industriarci’ per utilizzare al meglio quello che il mercato propone, magari immaginando nuove funzioni o applicazioni extra-ordinarie. Come è accaduto nell’appendiabiti Pixel, un prodotto composto da una colonna con quattro ganci a scomparsa; per realizzare il meccanismo del gancio retrattile abbiamo utilizzato un freno idraulico come pistoncino propulsivo. Il risultato: un oggetto che sembra essere stato progettato per essere così com’è, anche se le cose sono andate diversamente.

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