Da sempre materiale utilizzato dall’uomo per la costruzione di oggetti e case, il legno è la materia prima “rinnovabile” per eccellenza. Rispetto ad altri materiali è costituito da organismi viventi che caratterizzano la superficie con texture e colori differenziati a seconda della natura dell’albero dal quale deriva il materiale stesso. Per modificare il colore senza alterare l’aspetto naturale delle venature, attualmente è disponibile un’ampia gamma di tinte e coloranti a base d’acqua, come quelli prodotti da Sirca, linea Tintorama. La linea all’acqua, che permette la diluizione con ciò che è naturale per antonomasia, consente minori emissioni in atmosfera di gas serra.
La naturale variabilità delle colorazioni del legno, o meglio, “dei legni”, è stata modificata dall’uomo fin dall’antichità, usando svariati sistemi di tintura, per diversi motivi: uniformare diversi legni, decorare gli oggetti prodotti, impreziosire la superficie. La capacità di dare un colore al legno risale alla notte dei tempi: nell’antico Egitto si sono ritrovati reperti che lo testimoniano e si racconta che già gli ebanisti romani utilizzassero tinture per modificare il colore di legni locali ed economici per renderli simili ad essenze considerate maggiormente “preziose” [1].
La modificazione della tinta naturale del legno ottenuta con la coloritura tramite vari tipi di sostanze sia naturali che artificiali, non ha nulla a che vedere con l’applicazione di vernici, che nasce fondamentalmente con l’utilizzo della gomma lacca, anch’essa avvenuta in antichità [2]. Ma questa sarà storia da raccontare in altro contesto. La tintura, infatti, non nasconde altre caratteristiche estetiche del legno, quali la direzione delle fibre, cioè la grana, la tessitura, la venatura, le marezzature, le specchiature e altre qualità.
L’applicazione del colore interessa sostanzialmente solo un leggero spessore della superficie del legno, e i coloranti utilizzati non devono interagire chimicamente con eventuali altri trattamenti successivi (ad esempio, la verniciatura trasparente protettiva). A volte sono chiamati impropriamente “aniline” o “mordenti”. La ragione deriva dal fatto che i primi coloranti sintetici sono stati a base di anilina, essendo stati scoperti a causa di un errore nella formulazione di un farmaco antimalarico, il chinino, effettuata da Perkin nel 1856, che ha scoperto il colorante malva (o porpora di anilina) [3].
Se nel passato i coloranti erano fondamentalmente ricavati da sostanze naturali, per la maggior parte di origine vegetale, alcune di origine animale (come la cocciniglia da cui si ricava il chermes) e anche di origine minerale – questi ultimi trattati per essere applicati da una sorta di conoscenza alchemica, una “protochimica” [4] – attualmente sono per lo più di origine sintetica, organica o inorganica, ottenuti mediante processi chimici.
Tingere una fibra, come è il legno, consiste nel fare precipitare sulla superficie un colorante. Tutti sanno che non tutte le fibre recepiscono gli stessi coloranti, ad esempio è possibile che una determinata sostanza per la lana non ottenga lo stesso effetto con il cotone; per risolvere questo problema nel passato si usavano i cosiddetti “mordenti”, tecniche che non si usano più grazie alla chimica dei coloranti di origine sintetica. Nel caso del legno, però, il fenomeno della disomogeneità della colorazione è ancora più evidente, dato che non si ferma in superficie ma penetra per un certo spessore. Per questo motivo è evidente che le differenti essenze legnose assorbono i coloranti in modi differenti ma anche le diverse parti di uno stesso legno possono evidenziare differenti affinità con lo stesso colore. È indispensabile quindi saper gestire le principali regole di una buona applicazione per ottenere un risultato di qualità.
Per semplificare è possibile suddividere i legni in 4 categorie:
– Essenze con poro fiammato molto profondo (rovere, frassino, castagno, acacia e olmo)
– Essenze con poro stretto e profondo (noce, tanganika, ayous, kotò e mogano)
– Essenze compatte (acero, betulla, ciliegio, ontano o alder americano e faggio)
– Essenze di conifera (pino, abete e altre conifere).
La penetrazione del colore attraverso le fibre legnose è maggiore nelle sezioni trasversali e minore in quelle radiali, pertanto la tinta sarà più evidente nelle venature dove la sostanza penetra maggiormente.
La corretta scelta delle tinte idonee permette di evitare assorbimenti non omogenei, evitare il fenomeno del “poro bianco” e quello del metamerismo [5]. Nella gamma di tinte all’acqua incluse in Tintorama di Sirca sono presenti tinte non coprenti, semi coprenti e uniformanti in grado, queste ultime, di offrire una elevatà uniformità cromatica in caso di essenze dalla colorazione disomogenea. Maggiore copertura significa anche maggiore resistenza alla luce e quindi idoneità alla tinteggiatura di serramenti per esterno.
Abbiamo visto che è fondamentale conoscere l’essenza del legno da trattare per ottenere un buon risultato. Di seguito riportiamo alcuni consigli dei responsabili dei laboratori R&S di Sirca di come trattare alcune tra le essenze più conosciute.
[1] – T.A. Turco, Coloritura verniciatura e laccatura del legno, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1955.
[2] – A.M.A. Guidotti, Nuovo trattato di qualsivoglia sorte di vernici, Lelio della Volpe, Bologna, 1764.
[3] – F. Bulian, Verniciare il legno, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 2008.
[4] – Philip Ball, Colore una biografia, RCS libri, 2001 (titolo originale “Bright Hearth”).
[5] – Metamerismo: in ottica, detto dei colori prodotti da diverse mescolanze di frequenze luminose, che provocano però la stessa sensazione cromatica (sensazione m., o stimolo m.): tale diversità di composizione può essere resa percepibile, in termini di differenza di colore, variando le condizioni di illuminazione. (Treccani)
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