Finiture Green

Visione personale e linguaggio strategico

Patricia Malavolti

Cosa fa uno studio di CMF Design?
Baolab, il principale studio di CMF Design in Italia, si distingue per due parole chiave: ricerca e innovazione. È il partner ideale per le aziende che vedono nell’innovazione un valore strategico e adottano una visione di medio-lungo termine. Perché innovare non è per tutti, ma solo per chi sa investire nel futuro e trasformarlo in un’opportunità. Ne abbiamo parlato con Emma Clerici e Manuela Bonaiti, socie e fondatrici dello studio.

Con un background nel settore automobilistico, considerato un punto di riferimento per la ricerca nel CMF design (noto nel mondo dell’auto come Color & Trim Design), Emma Clerici affronta ogni progetto con un metodo rigoroso e analitico. La fase di ricerca, fondamentale per lo sviluppo di nuove idee, viene condotta con un approccio più scientifico che orientato al marketing.
Manuela Bonaiti, invece, ha maturato il suo percorso accademico tra l’Italia e l’estero, culminando in un’esperienza professionale accanto al Maestro della ricerca dell’identità emozionale dei prodotti industriali, Clino Trini Castelli. Quest’ultimo, dal laboratorio Olivetti e al fianco di Ettore Sottsass, ha anticipato le tendenze nella progettazione di materiali, colori e superfici, aprendo nuove prospettive nella ricerca del settore.
Entrambe ci tengono a chiarire che sono architetti.
«Purtroppo in Italia – esordisce Manuela Bonaiti – il CMF design è spesso legato all’interior design: in realtà è molto altro, ha soprattutto a che fare con la ricerca e l’innovazione.
Il CMF ha origine nel design industriale, applicato ai prodotti in serie, e questo contesto ne ha modellato l’approccio. Tuttavia, quando viene applicato all’interior design, si scontra con logiche diverse, pur restando un elemento centrale del progetto. Basta pensare all’importanza della luce nel determinare la percezione di materiali e colori: è un aspetto che richiede un metodo specifico che credo sia legato maggiormente alla progettazione architettonica».

Quanto è importante per voi la componente tecnica?
La componente tecnica è assolutamente fondamentale per il nostro lavoro. Tanto che abbiamo scelto di integrare anche un ingegnere nel nostro team.
Il CMF design si occupa di colori, materiali e finiture, ma non si può parlare di colore senza considerare la superficie su cui si applica. Allo stesso modo, non esiste superficie senza un processo produttivo e una materia prima. L’innovazione, dunque, nasce proprio da questa interconnessione.
Il cuore del nostro lavoro sta nella capacità di ricerca avanzata e nella lettura dei materiali e dei processi in modo creativo e analitico. È qui che entrano in gioco l’astrazione e la capacità di trasformare e reinterpretare un materiale o un processo per nuovi utilizzi. Non si tratta tanto di inventare dal nulla, quanto di applicare il già esistente in modi innovativi.
L’innovazione non è solo nei materiali, ma anche nei processi produttivi. Le aziende più predisposte al cambiamento sono quelle che comprendono l’importanza della ricerca e della sperimentazione, credendo nel fatto che l’investimento in conoscenza possa generare nuove opportunità. È proprio lì che nascono le innovazioni più significative.

Quali sono i fattori chiave che guidano l’innovazione nei processi produttivi e nel CMF design?
Se ci si concentra esclusivamente su ciò che vende oggi e su quanto si venderà domani, si rischia di rimanere intrappolati in una visione a breve termine. Nel CMF design, ad esempio, lavorando su prodotti ad alta serialità, bisogna sempre tenere d’occhio il mercato: se l’80% delle vendite è costituito dalla finitura nera, nella collezione successiva quel nero dovrà rimanere. Magari se ne venderà ancora di più. Ma il rischio è quello di fossilizzarsi, senza lasciare spazio alla sperimentazione e all’evoluzione.
Per questo quando facciamo trend forecasting esploriamo diverse fonti per intercettare i linguaggi emergenti e le tendenze in evoluzione. Il nostro lavoro consiste nel tradurre queste intuizioni in strumenti concreti come mood e material board, palette colori, profilazione delle personas e data mapping.

L’equilibrio tra creatività e mercato è essenziale: un creativo che ignora le dinamiche commerciali sbaglia, ma allo stesso modo chi si occupa delle vendite e non guarda al futuro rischia di bloccare ogni possibilità di innovazione. Un sistema chiuso su sè stesso può, nella migliore delle ipotesi, galleggiare per un po’, ma alla lunga perde competitività.
L’innovazione, però, deve avere una direzione chiara. Per questo è fondamentale osservare dove si stanno concentrando gli investimenti: analizzare le startup emergenti, seguire i trend di finanziamento, capire dove si stanno indirizzando i fondi europei. Se il 60% delle risorse viene canalizzato verso una determinata area, è lì che si stanno aprendo le opportunità di sviluppo.
Alla fine, i principali motori dell’innovazione non sono sempre quelli culturali, ma spesso quelli economici. I finanziamenti determinano quali settori cresceranno e, di conseguenza, dove emergeranno nuove tecnologie, nuovi materiali e nuovi processi produttivi.
Seguire il flusso degli investimenti – il classico follow the money – è spesso il modo più efficace per individuare dove avverranno le trasformazioni più significative.
Tuttavia, il denaro non è solo un indicatore di tendenza, ma anche una condizione necessaria per la ricerca e lo sviluppo. Ad esempio, brevettare una nuova tecnologia richiede investimenti significativi, quindi osservare in quali settori si stanno registrando più brevetti può dare indicazioni preziose sulle aree di innovazione più promettenti. Se, per esempio, la maggior parte dei brevetti riguarda l’upcycling dei materiali, è evidente che quella sia una direzione in crescita e meritevole di attenzione.

Quando si parla di materiali innovativi, come quelli di origine bio, quanto è importante distinguere tra soluzioni già applicabili e quelle ancora in fase sperimentale? E come si decide su quale orizzonte temporale concentrare la ricerca, bilanciando innovazione e fattibilità industriale?
Quando un cliente chiede una ricerca su materiali innovativi, è fondamentale definire il livello di innovazione richiesto. Vuole materiali già disponibili e pronti per l’uso nel breve termine, o soluzioni sperimentali che potrebbero diventare concrete solo tra 10 o 20 anni? Nel settore automobilistico, per esempio, il tipo di ricerca varia enormemente in base alle tempistiche di sviluppo. Se un cliente richiede materiali con campioni fisici immediatamente disponibili, allora non si tratta di una ricerca avanzata, ma di una selezione tra soluzioni già esistenti. L’innovazione vera, invece, spesso richiede di esplorare territori ancora inesplorati, senza la certezza di trovare subito qualcosa di tangibile.

Nelle vostre ricerche, quanto conta l’aspetto della sostenibilità?
Oggi è interessante ripensare il tema della sostenibilità dei materiali, anche se è un concetto di cui si discute ormai da decenni. Abbiamo lavorato su progetti legati a questo ambito già 25 anni fa.
Negli anni, sono emerse diverse soluzioni, come le vernici bio-based e gli archivi di materiali sostenibili, che catalogavano materiali riciclati e a basso impatto ambientale. Tuttavia, all’epoca si trattava principalmente di elenchi di materiali considerati “sostenibili” in base alle loro caratteristiche intrinseche.
Oggi, invece, la visione è molto più sistemica: non basta più valutare la sostenibilità di un materiale in sé, ma è fondamentale analizzare come viene applicato, integrato e certificato all’interno di un prodotto finito. Non ha più senso ragionare sulla sostenibilità del singolo materiale in modo isolato; ciò che conta è l’impatto complessivo del prodotto finale.
Ad esempio, non è sufficiente dire che una sedia è sostenibile solo perché realizzata con un materiale riciclato. Il processo di produzione, le certificazioni e il ciclo di vita del prodotto giocano un ruolo altrettanto importante. Se utilizzi un materiale ecologico, ma poi il prodotto non è riciclabile o genera sprechi, il beneficio si annulla. Oggi la sostenibilità è una questione di relazioni e di sistema, non solo di materia prima.
Ciò che conta è l’intero ciclo di vita del materiale: come viene processato, da dove proviene, quanta energia è necessaria per produrlo. Parlare di un materiale sostenibile senza considerare questi aspetti è privo di significato. Si può forse discutere della sua origine, ma la sostenibilità è, di fatto, una rete di relazioni che coinvolge l’intera filiera.
Detto questo, è comunque giusto partire da qualche punto concreto. Non si tratta di cancellare tutto ciò che è stato fatto finora, ma di ampliare la prospettiva e riconoscere che la sostenibilità non è una qualità statica, ma un equilibrio dinamico tra molteplici fattori.