Il colore è il linguaggio universale che attraversa confini culturali, sempre più guidato dalla scienza che dalla percezione. Il colore non è percepito ovunque nel mondo allo stesso modo. Anzi, un colore che funziona in un paese può risultare dirompente in modo negativo in un altro.
Per comprendere a fondo queste dinamiche a livello internazionale, abbiamo interpellato una fuoriclasse del colore, Montaha Hidefi, presidente del Color Marketing Group®, associazione basata sul contributo volontario di professionisti del colore provenienti da tutto il mondo.
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Cosa influenza il colore, il suo uso e la sua percezione?
I cambiamenti culturali giocano un ruolo significativo nella determinazione delle preferenze cromatiche. Una tonalità considerata sofisticata in una regione può avere un significato culturale completamente diverso altrove. Anche le preoccupazioni ambientali influenzano il colore in modi diversi a seconda delle aree geografiche. Ad esempio, le ultime previsioni cromatiche europee evidenziano l’uso di colori derivati da fonti vegetali o materiali riciclati, riflettendo una spinta verso la sostenibilità e la durata nel tempo. Nel contempo, nell’area Asia-Pacifico, si osservano tonalità che rispecchiano le preoccupazioni legate ai veicoli elettrici e allo smaltimento delle batterie.
Abbiamo visto più volte come i cicli economici influenzino la preferenza per colori vivaci e a alta saturazione, che tendono a emergere nei periodi di crescita e a lasciare spazio a tonalità più attenuate e rassicuranti durante le recessioni. Allo stesso modo, i progressi tecnologici, come le innovazioni nei pigmenti, nei display digitali, nel metaverso e nell’intelligenza artificiale, guidano l’evoluzione del colore su scala regionale piuttosto che universale.
Anche le forze psicologiche e emotive modellano le preferenze cromatiche a livello locale. Ad esempio, dopo la pandemia, il rosa acceso ha dominato le previsioni cromatiche in America Latina e Nord America, mentre in Asia-Pacifico si è assistito a un aumento delle tonalità neutre tendenti al pastello, segno di una risposta emotiva diversa a quel periodo.
I risultati dei workshop Color Marketing Group® ChromaZone™ dimostrano come il colore stia diventando sempre più una questione di metodo. Qual è il processo alla base delle vostre elaborazioni?
I nostri workshop di previsione seguono un processo unico sviluppato dai membri di CMG. Ogni stagione di previsione inizia con un’approfondita ricerca condotta da esperti del colore, sia membri che non membri del Gruppo, che contribuiscono attraverso workshop dal vivo e virtuali chiamati Future Thinking. Queste sessioni identificano macro-tendenze con il potenziale di influenzare le future direzioni cromatiche.
Questa ricerca alimenta poi i workshop ChromaZone, organizzati nelle quattro regioni di CMG (Asia- Pacifico, Europa, America Latina e Nord America) dove vengono raccolte narrazioni cromatiche e direzioni di CMF (Color, Material, Finish).
I risultati vengono sintetizzati in previsioni regionali che, una volta unite, formano il World Color Forecast™ di CMG, svelato con due anni di anticipo al Summit di CMG. I membri applicano poi queste intuizioni nei rispettivi settori.
Le previsioni regionali di CMG offrono una comprensione delle forze che modellano le direzioni cromatiche a livello sia micro che macro, esplorando come il colore si evolve nei contesti geografici specifici e come alcune influenze possano rimanere locali o superare i confini regionali. Durante i workshop ChromaZone, vengono analizzati fattori chiave come cultura, ambiente, tecnologia, economia, psicologia, industria e dinamiche di mercato.
Il colore è ciclico. Può tracciare l’evoluzione delle tendenze cromatiche dall’inizio del secolo scorso a oggi?
I cicli del colore riflettono momenti storici, valori sociali in trasformazione e progressi tecnologici. Sebbene CMG abbia formalizzato la previsione dei colori all’inizio degli anni ’70, possiamo tracciare tendenze più ampie nell’ultimo secolo attraverso studi e ricerche esterne.
Nei primi decenni del XX secolo, sotto l’influenza del movimento Arts and Crafts, dominavano toni terrosi e attenuati, derivati da tinture naturali. Gli anni ’20 e ’30 introdussero tonalità gioiello audaci e palette in bianco e nero ad alto contrasto, in linea con l’Art Déco e il simbolismo del lusso e della modernità. Il dopoguerra degli anni ’40 e ’50 portò una ventata di ottimismo con la diffusione dei colori pastello nella vita quotidiana, mentre i neutri industriali riflettevano la rapida urbanizzazione.
Gli anni ’60 e ’70 videro l’esplosione di colori psichedelici accanto a tonalità terrose calde, rappresentando i movimenti controculturali e una crescente consapevolezza ambientale.
Gli anni ’80 furono caratterizzati da neon ad alta energia e metallizzati, espressione del consumismo e dell’avanzamento tecnologico, mentre i ’90 abbracciarono il minimalismo con il predominio di grigi freddi, beige e blu profondi, in reazione agli eccessi del decennio precedente.
Con l’ingresso nel XXI secolo, i primi anni 2000 hanno visto la fusione tra colori sintetici e digitali molto accesi e neutri ispirati al benessere, bilanciando futurismo tecnologico e benessere. Negli anni 2010, le preoccupazioni per la sostenibilità hanno riportato in auge tonalità ispirate alla natura, mentre le estetiche digitali hanno spinto in primo piano colori iper-saturi e surreali.
Oggi assistiamo a una tensione tra due poli opposti: da un lato l’evasione – intesa come distrazione o intrattenimento – e dall’altro il radicamento. Queste due forze opposte influenzano i colori in base alla geografia e al mercato, portando da un lato a pastelli eterei e finiture futuristiche e scintillanti, e dall’altro a marroni robusti, verdi naturali e toni minerali che ci ancorano alla realtà in un mondo in continua evoluzione.
Ho apprezzato la sua frase “perché Mocha Mousse non è il colore dell’anno per tutti.” Quali rischi corrono le aziende che seguono alla lettera il Color of the Year (COTY)? E perché è cruciale avere una propria strategia cromatica?
A differenza dei colori personalizzati previsti sulla base di ricerche e comportamenti futuri dei consumatori per una linea di prodotto specifica, il Color of the Year (COTY) è una tonalità di tendenza a breve termine, che può diventare rapidamente obsoleta. I brand che puntano alla rilevanza a lungo termine devono bilanciare i colori di tendenza con le tonalità distintive del marchio.
Anche se il COTY può generare risonanza e aumentare la visibilità del prodotto nel breve periodo, adottarlo senza una strategia può avere un effetto contrario sull’identità del marchio, rischiando di comunicare un messaggio da “seguace” piuttosto che da leader. Ad esempio, un brand noto per il minimalismo senza tempo potrebbe disorientare i clienti fedeli se adottasse improvvisamente un COTY audace.
Anche la percezione culturale e geografica complica l’adozione universale di un COTY. Un colore di tendenza in un mercato potrebbe risultare inadatto in un altro, creando un disallineamento con il pubblico.
Definire una strategia cromatica consente alle aziende di anticipare le evoluzioni del mercato anziché inseguire le mode effimere, assicurando rilevanza e autenticità a lungo termine.
Che consiglio darebbe alle aziende nei settori del design, della decorazione e dell’architettura che non hanno ancora sviluppato una chiara strategia del colore? Quali opportunità stanno perdendo?
Nonostante sia parte integrante dell’ambiente costruito, il colore può risultare intimidatorio per molti. I suoi effetti neuropsicologici fanno sì che le scelte cromatiche non siano solo decisioni estetiche, ma strumenti strategici in grado di influenzare l’umore, il comportamento e l’esperienza. Senza una chiara strategia cromatica, quando le decisioni sui colori vengono prese in modo estemporaneo, si rischia di confondersi con l’ambiente circostante, perdendo individualità e unicità e mancando l’opportunità di creare spazi che stabiliscano connessioni emotive con chi li vive.
Una strategia cromatica ben strutturata è essenziale per il coinvolgimento dell’utente, il vantaggio competitivo, il riconoscimento del brand, la durabilità e la sostenibilità. È risaputo che la coerenza con una palette di colori rafforza il ricordo del brand, proprio come il Rosso Ferrari e il Blu Tiffany sono immediatamente riconoscibili. Nell’architettura e nel design degli interni, il colore non riguarda solo la percezione umana e la delimitazione degli spazi, ma supporta anche le esperienze sensoriali e emotive che costruiamo con l’ambiente e il modo in cui questo ci fa sentire. Ad esempio, nei settori del retail, dell’ospitalità o degli ambienti di lavoro, palette cromatiche studiate con attenzione influenzano le decisioni d’acquisto, il benessere e la produttività.
Un approccio strategico al colore aiuta le aziende a anticipare i cambiamenti del mercato invece di limitarsi a reagire alle tendenze. Selezionare i colori in modo proattivo garantisce una rilevanza duratura in un panorama di consumatori in continua evoluzione. Il colore incide anche sulla durabilità, sull’adattabilità e sulla scelta di materiali sostenibili, un aspetto sempre più cruciale nel design responsabile.