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Letture sotto l’ombrellone: “Il piccolo libro dei colori”

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La newsletter di oggi sarà una lettura piacevole, uno stimolo, una scintilla che magari vi farà amare “Il piccolo libro dei colori”, edito da Ponte Alle Grazie.

Il testo riprende in 105 pagine l’intervista fatta dalla giornalista francese Dominique Simonnet a Michel Pastoureau, storico ed antropologo, fra i maggiori specialisti mondiali dei colori e dei loro significati simbolici.

Nei suoi sette capitoli dedicati al Blu, al Rosso, al Bianco, al Verde, al Giallo, al Nero e alle mezze tinte esplora curiosità, anche insospettabili, sul mondo del colore.

Ad esempio che il BLU è un colore “gattamorta”. Lo definisce così Pastoureau, rivelandone il carattere giudizioso, condiscendente, che l’ha trasformato, in occidente, in una sorta di “garante dei conformismi” (regna sui jeans e sulle camicie), un colore perfino istituzionale, capace di conquistare la bandiera europea e quella dell’ONU. Ma la sua storia non è sempre stata così brillante. Nell’antica Roma il blu era il colore dei barbari, dello straniero, e per una donna avere gli occhi blu equivaleva ad essere di facili costumi. Era anche un colore difficile da reperire in natura, un pigmento complicato da ottenere e riprodurre. Per questi motivi, a lungo non è stato utilizzato.

Del ROSSO si scopre che è un colore orgoglioso, più dichiaratamente assetato di potere: vuole essere visto ed è ben deciso a imporsi sugli altri. Ma, anche nel suo caso, esistono risvolti meno noti della sua storia, che l’analisi di Pastoureau ci permette di conoscere. Il suo pregio, indiscutibile e in grado di renderlo accattivante fin dall’antichità, è quello di riuscire a catturare lo sguardo. Il rosso si stacca nettamente dall’ambiente, si mostra e mette in risalto chi ne fa uso. La sua fortuna prematura è sostenuta anche da un aspetto pratico: i pigmenti rossi sono stati disponibili molto presto.

Il VERDE è un colore trattato da Pastoureau con un piglio ironico, divertente, leggero ma interessante, che invoglia alla lettura. “Ormai tutto è verde” sostiene “zone verdi, numeri verdi, treni verdi, partito dei verdi… persino i cassonetti della spazzatura sono diventati di questo colore per evocare natura e pulizia”. Ma il “simbolo verde” è troppo bello per essere vero e abbiamo qualche motivo per diffidarne. Secondo Pastoureau il verde è un volpone che ha sempre nascosto il suo gioco, un colore pericoloso la cui vera natura è l’instabilità. Cosa che, a ben vedere, corrisponde perfettamente alla nostra epoca inquieta. Il verde in passato aveva la particolarità di essere un colore chimicamente instabile. Non era difficile ottenerlo: molti prodotti vegetali potevano servire come coloranti verdi. Renderli stabili, però, era un altro paio di maniche.

Queste e molte altre curiosità sono contenute in questo piccolo libro dai tanti spunti ed è piacevole scoprirli uno alla volta, accompagnati da una lettura così stimolante. È affascinante sapere che i colori non hanno sempre goduto della stessa considerazione, ma ognuno di loro ha conosciuto fasi alterne, con momenti di gloria e ignominia.

E allora tingere un mobile, o anche semplicemente produrre una latta di vernice, può diventare un gesto che assume tutto un altro senso. Non più un semplice passaggio di un processo industriale, ma un modo di dare forma al mondo, di dare proseguo ad una storia.

Ma di contenuti tecnici avremo lungamente di cui scrivere nei prossimi mesi, per ora auguriamoci un BUON FERRAGOSTO.

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L’ultimo numero di Finiture Green #18 è fresco di stampa. Industria Vs Artigianato è il filo conduttore che unisce interviste, approfondimenti e novità sui temi delle finiture, del design e dell’architettura, raccontati con un taglio tecnico.

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